T€ATRO TRAG€DIA
LIBRETTO:
•
ATTORI: Parlamento
italiano (attore principale: Partito Democratico) e due Governi italiani non
eletti democraticamente (Governo Monti e Governo Renzi);
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SCENEGGIATURA
a cura di: multinazionali, banche private, Commissione Trilaterale e GruppoBilderberg;
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MUSICHE E
TESTI a cura di: intellettuali di sinistra e stampa di regime;
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REGIA: Unione
Europea.
VOCE NARRANTE:
Ho scritto molto su questa moneta
unica. E molto sono riuscito a dimostrare su come questo Euro rappresenti un
crimine contro l’Umanità. Ricordate il mio libro “Il Male Assoluto…”?
Oppure il mio articolo “I gravissimi aspetti di criticità dell’Euro spiegati
a mia figlia di un anno”?
Bene. Si diano per letti e conosciuti
i contenuti dei testi appena indicati.
Ciò detto, ritengo tuttavia fare una
breve premessa che riassuma – in breve – il crimine dell’Euro.
Abbiamo già visto come gli Stati
dell’Eurozona siano costretti – non avendo più sovranità monetaria – a doversi
andare a cercare la moneta. Per chi ancora non avesse chiaro il concetto, lo
rispiego. Tutti i 19 Stati europei che hanno aderito all’Euro devono cercarsi
la moneta, e lo possono fare solo in due modi: a) andandola a prendere dalle
tasche dei cittadini (attraverso l’aumento e/o l’introduzione di nuove tasse ed
imposte; attraverso l’introduzione di strumenti giacobini di accertamento
fiscale; limitando l’uso del denaro contante in modo da condurre una lotta
terroristica all’evasione fiscale; tagliando le voci di spesa pubblica più
sensibili come la sanità, la giustizia, la scuola, le pensioni etc…); b)
prendendola in prestito dai mercati dei capitali privati (es. dalle banche
private) ai quali lo Stato richiedente deve restituirla gravata dagli
interessi, tassi stabiliti unilateralmente a seconda del grado di affidabilità
di ciascuno Stato.
Ma v’è di più: la fissazione, nel
1999, dei tassi di cambio irrevocabili tra l’Euro e ciascuna moneta nazionale
degli Stati aderenti ha maggiormente aggravato la situazione. Nei periodi di
crisi del passato era abitudine, soprattutto dell’Italia, operare
“aggiustamenti” sul cambio al fine di svalutare la propria moneta nazionale
rispetto alle altre valute allo scopo di tornare ad essere competitivi, quindi
i prezzi delle merci da esportare si abbassavano con il conseguente aumento delle
esportazioni, pertanto le aziende – vedendo che le merci prodotte venivano
acquistate – non erano costrette né a licenziare né a ridurre i salari (anzi,
erano addirittura invogliate ad assumere nuovo personale).
Oggi con questo Euro, non potendo più
utilizzare la leva della svalutazione monetaria, tutti gli Stati dell’Eurozona
sono costretti – per essere competitivi – a svalutare il lavoro, quindi a
ridurre i salari e la qualità dell’occupazione (ossia le tutele contrattuali e
i diritti dei lavoratori).
Il tutto contornato da una Banca
Centrale Europea (BCE) che non funge affatto da prestatrice di ultima istanza
(cioè non si rende garante e quindi non acquista l’intero ammontare dei debiti
pubblici di ciascuno degli Stati dell’Eurozona), lasciando che siano i
cittadini a svolgere la predetta funzione.
Ciò premesso, al fine di salvare
l’Euro (e tutto il corollario che vi è attorno) l’Unione Europea ha prima
chiesto – e poi imposto – a ciascuno Stato dell’Eurozona di provvedere a
radicali riforme strutturali soprattutto in merito alle legislazioni nazionali
sul lavoro, ritenute da Bruxelles, Berlino e Francoforte troppo garantiste e
quindi ostative allo strumento della svalutazione del lavoro, strumento
ritenuto necessario – come ho già scritto – affinché gli Stati della zona euro
tornino ad essere competitivi!
Ed è proprio in questa cornice che si
collocano le vulgate del “ce lo chiede l’Europa” o “ci vuole più
Europa”.
In Italia esisteva (infatti oggi non
esiste praticamente più) una legislazione sul lavoro figlia delle aspre lotte
sociali degli anni Sessanta che tutelava soprattutto il lavoratore, quindi il
suo salario, i suoi diritti e la tendenziale stabilità del suo impiego (vedesi
ad esempio lo Statuto dei Lavoratori – Legge n. 300/1970).
Ma commetterei un errore – un
gravissimo errore – se scrivessi che i diritti dei lavoratori sono frutto delle
sole lotte sociali degli anni Sessanta, infatti bisogna tornare indietro fino
all’immediato dopoguerra, quando il nostro Paese si dotò di una Carta
fondamentale dello Stato definita, non a caso, la più bella del mondo. La
nostra Costituzione, infatti, fonda la Repubblica italiana sul lavoro (art. 1
co. I Cost. “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”),
quindi – per dirla con parole semplici – non esiste lo Stato italiano se esso
non può fondarsi sul lavoro. Punto. E’ un concetto che non ammette repliche né
interpretazioni differenti. Questa era l’esatta volontà dei nostri Padri
costituenti. Non soddisfatta, l’Assemblea Costituente inserì nei Principi
Fondamentali della Carta anche l’art. 4 (“La Repubblica riconosce a tutti i
cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo
questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le
proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che
concorra al progresso materiale o spirituale della società”), mentre nella
Parte I – tra gli altri – l’art. 36 (“Il lavoratore ha diritto ad una
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni
caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e
dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e
non può rinunziarvi”).
L’Unione Europea e i suoi Trattati,
come ho già ampliamente dimostrato nei miei libri e articoli precedenti,
tradiscono vigliaccamente i suddetti principi a tal punto da farli diventare
lettera morta. Ne è un esempio la vile costituzionalizzazione del vincolo del
pareggio di bilancio avvenuta sotto un pressante ricatto dell’UE e per mano di
un Parlamento italiano sordo e schiavo nella primavera del 2012, dopo che il
Presidente del Consiglio Mario Monti aveva sottoscritto il cosiddetto Fiscal
Compact nel marzo di quello stesso anno (a tal proposito, leggete questo mio
articolo:
http://scenarieconomici.it/incompatibilita-art-1-costituzione-pareggio-bilancio-giuseppe-palma/).
In pratica, per dirla con parole semplici, con la nuova formulazione dell’art. 81
Cost. lo Stato italiano si è imposto il divieto di far leva sulla possibilità
di indebitamento al fine di creare piena occupazione, in aperto contrasto con
gli artt. 1 e 4 della Costituzione. Un crimine che, in epoche differenti,
avrebbe giustificato quanto meno un’incriminazione di tutti i membri del
Parlamento e del Governo di tenere intelligenze con lo straniero allo
scopo di sovvertire l’ordine costituzionale.
Ciononostante, l’Europa non era – e
non è – per nulla soddisfatta. Bisogna distruggere ogni diritto connesso al
lavoro, altrimenti saltano sia l’Euro che l’intera struttura eurocratica
disegnata dai Trattati dell’UE.
Dal novembre 2011 in avanti tre
Presidenti del Consiglio privi di legittimazione democratica (Mario Monti,
Enrico Letta e Matteo Renzi) – con la complicità di un Parlamento (XVIa e XVIIa Legislatura) schiavo, composto di
nominati e pesantemente delegittimato da una pronuncia di incostituzionalità
della legge elettorale con la quale è stato eletto – hanno portato a compimento
questo crimine. In che modo? In QUATTRO ATTI, come se si trattasse – e forse lo
è – di una tragedia greca (giuro, nessun doppio senso).
SI APRA IL SIPARIO:
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PRIMO ATTO: il 2 marzo 2012 venticinque Stati
dell’Unione Europea (ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca)
sottoscrivono il cosiddetto Fiscal Compact (Trattato sulla stabilità,
coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria), il quale prevede
principalmente: a) una significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico
e PIL al ritmo di un ventesimo all’anno (5%), fino al raggiungimento del
rapporto del 60% sul PIL nell’arco di vent’anni; b) l’obbligo del perseguimento
del pareggio di bilancio; c) l’obbligo di non superamento della soglia di
deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL (e superiore all’1% per i Paesi
con debito pubblico inferiore al 60% del PIL);
•
SECONDO ATTO: nell’aprile 2012 (Legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1), attraverso la procedura aggravata
prevista dall’art. 138 della Costituzione, il Parlamento italiano – sotto il
ricatto/imbroglio dello spread – inserisce definitivamente in Costituzione il
vincolo del pareggio di bilancio (nuova formulazione dell’art. 81 Cost.), e lo
fa a larghissima maggioranza in modo tale da evitare un’eventuale bocciatura da
parte di un referendum popolare di tipo confermativo. Quali forze politiche
parlamentari votano in favore della costituzionalizzazione del pareggio di
bilancio? PD, PDL e UDC, le stesse che appoggiano incondizionatamente il
Governo tecnico presieduto dal prof. Monti. L’Italia è l’unico Paese tra i
venticinque firmatari del Fiscal Compact ad inserire in Costituzione il vincolo
del pareggio di bilancio. Nel luglio di quello stesso anno, come se quanto
premesso non fosse già di per sé sufficiente a massacrare un intero popolo, il
Parlamento – nel giro di una settimana – vota a larga maggioranza la legge di
autorizzazione alla ratifica del Trattato intergovernativo di cui sopra (il
cosiddetto Fiscal Compact);
•
TERZO ATTO: il Governo Monti (e più nello
specifico il ministro del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero)
elabora una prima riforma del lavoro che abroga la norma che consente al
giudice di ordinare all’impresa il reintegro del lavoratore illegittimamente
licenziato per giustificato motivo oggettivo (ossia per cause cosiddette
economiche), prevedendo unicamente una tutela di tipo risarcitoria che va da un
minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità. E’ l’inizio dello smantellamento
dei diritti. Trattasi della Legge 28 giugno 2012, n. 92. Quali forze politiche
parlamentari approvano la suddetta riforma? PD, PDL e UDC;
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QUARTO ATTO: l’attuale Governo presieduto dal
Segretario del PD Matteo Renzi – non senza aspre critiche interne al proprio
partito – elabora un’ulteriore riforma del lavoro denominata Jobs Act
(così i lavoratori non ci capiscono nulla ed è più facile illuderli) che
smantella definitivamente la tutela del reintegro. Il Parlamento approva una
legge delega (Legge 10 dicembre 2014, n. 183) e successivamente il Governo
emana i cosiddetti decreti attuativi. In parole semplici, la tutela del
reintegro viene mantenuta solo in pochissimi casi, vale a dire solo per le
seguenti tipologie di licenziamenti ritenuti illegittimi: a) licenziamenti
discriminatori (non esiste al mondo un solo imprenditore che si sognerebbe di
scrivere sulla lettera di licenziamento che il motivo è, ad esempio, il sesso
del lavoratore o il colore della sua pelle); b) licenziamenti nulli, cioè
quelli intimati senza l’osservanza delle norme di legge (è sufficiente recarsi
da un buon avvocato per non commettere errori); c) licenziamenti per
giustificato motivo soggettivo o per giusta causa (cioè quelli cosiddetti
disciplinari) per i quali il giudice ritenga che il fatto materiale contestato
al lavoratore sia insussistente. Badate bene al tenore letterale della norma: “INSUSSISTENZA
del fatto materiale contestato al lavoratore” (art. 3 co. II del Decreto
Legislativo sul contratto a tutele crescenti)! In pratica, nel caso in cui il
licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa sia
ritenuto ad esempio sproporzionato (cioè il fatto contestato al lavoratore
sussiste ma la sanzione del licenziamento è ritenuta sproporzionata), il
giudice non potrà più disporre che l’imprenditore provveda alla reintegra del
lavoratore nel suo posto di lavoro, bensì potrà riconoscere a quest’ultimo
soltanto la tutela risarcitoria (di importo pari a due mensilità dell’ultima
retribuzione percepita dal lavoratore per ogni anno di servizio, in misura
comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità). Pazzesco, ma siamo
tornati indietro di 130-140 anni! Infine, per quel che concerne i licenziamenti
per giustificato motivo oggettivo (vale a dire quelli cosiddetti economici),
resta in ogni caso la sola tutela risarcitoria (anch’essa di importo pari a due
mensilità dell’ultima retribuzione percepita dal lavoratore per ogni anno di
servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità).
Per chi non l’avesse ancora capito, il quarto atto di questa tragedia è
recitato da attori che amano definirsi di sinistra, una finta ed ipocrita
sinistra di ispirazione social-democratica ed europea incarnata da quel Partito
Democratico che sostiene di essere l’erede legittimo del vecchio e glorioso
PCI.
SI CHIUDA IL SIPARIO.
Applausi scroscianti da parte del
pubblico!!!
Ecco dimostrato, seppur molto
brevemente e con un linguaggio comprensibile a tutti, uno dei più efferati
crimini dell’Euro.
Vi prego, contestatemi nel merito (se
ci riuscite), ma non dite che non avete capito o che ho scritto falsità. Non
sarebbe onesto da parte vostra…
Buonanotte popolo. Ci vediamo alla
prossima tragedia.
Ah, dimenticavo: silenzio in teatro!
Giuseppe PALMA